Per una sera sono stata trasportata in un’altra dimensione, facendomi cullare dalle note e dalle parole di Eugenio Allegri che interpretava ‘Novecento’ di Alessandro Baricco a teatro.
Ho letto questo romanzo all’inizio del primo superiore, più di cinque anni fa, e quello che mi ricordavo era una piacevole lettura: mai avrei immaginato che rivederlo cinque anni dopo trasposto a teatro mi avrebbe travolto così tanto emotivamente. Forse quando lo lessi ero ancora troppo piccola per poter cogliere tutte le sottili sfumature di questa storia.
Si tratta proprio di una storia, infatti, quello che Alessandro Baricco ci narra in questa opera, la storia di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, pianista straordinario nato a bordo della nave Virginian che faceva avanti e indietro tra Europa e America, in mezzo all’Oceano, e mai sceso da lì.
Il personaggio di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento potrebbe rappresentare ognuno di noi, anelli fragili e infinitesimali di questa immensità che chiamiamo vita.
La storia di questo pianista molto particolare viene narrata attraverso gli occhi e il cuore del suo migliore amico, che lo conobbe proprio in mezzo all’Oceano, essendo stato assunto come suonatore di tromba sullo stesso Virginian.
Il monologo dell’amico è pervaso dall’affetto e dalla stima che questi nutre nei confronti di Novecento, il quale gli insegnò a guardare alla vita con la sua ingenuità , semplicità e purezza d’animo. Colui che gli disse che negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto. E che “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.”
Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, colui che suonava note che non esistevano, che viveva solo attraverso la sua musica, che viaggiava restando sempre dov’era, colui che non era mai sceso dalla nave ma aveva lasciato che la vita entrasse dentro lui attraverso gli occhi e le storie dei passeggeri ed emigranti a bordo del Virginian.
È proprio Novecento a venire incontro al suonatore di tromba durante la sua prima notte di burrasca, e a guidarlo sulle note e sulle onde dell’Oceano, lui che ne era il maestro, dell’Oceano. Quando suonava e tastava le note di quel pianoforte, Novecento viaggiava. E viaggiava dove non era mai stato, senza mai esser sceso da quella nave: negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno, lui viaggiava. ‘Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima.’
Novecento sapeva leggere la gente, e attraverso la gente che leggeva riusciva a costruirsi la mappa di quello che la gente chiama ‘mondo’.
Il mondo. E chi si immaginava che colui che aveva imparato a suonare il pianoforte magnificamente da solo, che non era mai sceso da una vita e che sembrava tanto assorto e sicuro della realtà dove sognava e viveva, in realtà avesse paura, del mondo.
Ed è proprio questo il peso e il segreto che Novecento si portava costantemente avanti e indietro per l’Oceano.
Lui ci aveva provato, a scendere da quella nave, dopo trentadue anni che ne era a bordo: diceva che voleva scendere per vedere il mare, questa volta dalla terra però. Glielo aveva detto un contadino dell’Inghilterra, che una volta si era perso e così, dal nulla, si era ritrovato davanti il mare: “E’ come un urlo gigantesco che grida e grida, e quello che grida è : ‘banda di cornuti, la vita è una cosa immensa, lo volete capire o no? Immensa“. Questo gli aveva detto il contadino.
Ma era proprio questo di cui Novecento aveva paura e che gli impedì di scendere da quella nave anche dopo trentadue anni: l’immensità della vita. La paura dell’immensità della vita gli aveva provocato infelicità , lo strazio tra la voglia di scendere e la paura di farlo, la nostalgia di qualcosa che non si ha mai avuto. ‘La terra, quella è una nave troppo grande per me. (…) E’ una donna troppo bella. (…) E’ una musica che non so suonare.‘ Questo è quello che Danny Boodman T.D. Lemon Novecento rivela al suo migliore amico, quando si rincontrano dopo anni, quando il suonatore di tromba entra nella sala macchine del Virginian e trova il suo amico seduto su una scatola di dinamite, pronto ad esplodere insieme alla nave su cui era vissuto.
Novecento gli disse che quello che lo aveva spaventato, quel giorno in cui aveva deciso che sarebbe sceso dalla nave, era il non vedere una fine sulla terra. Per lui la terra era una tastiera infinita, e lui sapeva essere infinito solo suonando sulle note finite di un pianoforte, ‘la terra è il pianoforte su cui suona Dio’, disse. ‘Tutto quel mondo negli occhi / terribile ma bello / troppo bello’, lui, che non era stato capace di scendere da quella nave, decise di viverlo ballando sulle note dei tasti bianchi e neri di quel che rimaneva della sua vita, disarmando l’infelicità incantandola: incantando i suoi desideri suonandoli. Suonando la donna della sua vita, il padre che non sarebbe mai diventato, la terra dove non era mai stato, gli amici, la meraviglia, la rabbia e la gioia, dicendo addio a quest’ultima, incantandola, quando vide il suo amico entrare lì.
Incantando ciò che non ha mai vissuto, Novecento ha segnato le sue tappe di quel viaggio che chiamiamo vita, trovando il suo sistema per salvarsi nell’infinita melodia che suonava con l’anima e col cuore, scegliendo di vivere la vita attraverso le note di un piano.
Perché non sempre riusciamo a sostenere il dono della vita, pesante ma terribilmente bello, e a volte è bello rifugiarsi nei sogni e lasciarsi cullare dall’Oceano che è in noi.
Ringrazio Eugenio Allegri per avermi fatto sorridere ed emozionare attraverso la sua voce e interpretazione del monologo, ed Alessandro Baricco per avermi ancora una volta regalato sorrisi, lacrime, emozioni e parole.
Consiglio vivamente tanto il testo quanto la sua rappresentazione teatrale.