Oggi voglio parlarvi di uno dei miei poeti preferiti: Giacomo Leopardi.
Sì, proprio lui: colui che snobbate perché si dice che era uno sfigato, che aveva la gobba, che era depresso e che non ebbe mai una donna con la quale condividere la propria vita.
Bene, il mio intento oggi è proprio quello di farvi cambiare idea sul nostro caro Giacomo e, non solo, dimostrarvi che in tutti noi risiede un po’ di lui.
In fondo siamo tutti un po’ Giacomo dentro di noi, con le nostre insicurezze, le nostre paure e le nostre debolezze; solo che, a differenza di lui, tendiamo a nasconderle con muri fittizi e precari e a mostrarci forti e sicuri nonostante la fortezza che abbiamo costruito sia in procinto di implodere.
Giacomo Leopardi (1798-1837), al contrario di come molti pensano, fu più forte di tutti noi: egli seppe scardinare le porte e i muri che gli impedivano di dimostrarsi per quello che era e della sua debolezza e fragilità fece un grande dono per l’umanità attraverso le sue poesie.
Mi sono subito riconosciuta in questo poeta, fin da quando in terza media leggevamo ad alta voce ‘L’infinito‘ e sognavo di essere lì con lui su ‘quell’ermo colle’, a lasciarmi ad andare con l’immaginazione verso quegli spazi e tempi infiniti oltre ‘la siepe’, permettendo al mio cuore di concedersi all’immensità del tutto, di varcare il limite della ragione, senza temere quel luogo ‘ove per poco il cor non si spaura’.
Perché Leopardi non è ‘colui caratterizzato da una solitudine affettiva familiare e sentimentale’ e la sua poetica non è basata su una filosofia pessimista che si divide in tre fasi: storica, cosmica e eroica’; Leopardi è colui che ha dato e continua a dar voce alle grida del cuore, colui che meglio di chiunque altro rappresenta la condizione di noi, giovani e adolescenti, smarriti in un mondo che a volte può far paura, in attesa di trovare la nostra strada e trasformare il nostro destino in destinazione.
‘Trasformare il destino in destinazione’: questa bellissima frase è presa dal libro che mi ha aperto gli occhi su questo scrittore tanto stereotipato: “L’arte di essere fragili” di Alessandro D’Avenia. Adoro questo scrittore contemporaneo e consiglio a tutti coloro che vogliano un’interpretazione del tutto nuova e originale del nostro Giacomo, di immergersi in questa piacevole lettura.
‘Trasformare il nostro destino in destinazione’ significa prendere coscienza della nostra vita così com’è e farla fiorire, trasformando ‘ciò che ci è capitato in scelta, ciò che ci è dato in desiderio, ciò che abbiamo in passione, la strada che stiamo percorrendo in ispirazione per una meta’. A me sembra molto più vicina a una concezione nietzchiana della vita che a un pessimismo alla Schopennauer.
Come ‘La ginestra’ di Leopardi, la bellezza, la vita, sta nell’accettare il deserto come condizione necessaria per evocare l’infinito dentro noi stessi, farsi seme e accettare il buio come possibilità di nuova luce, abitare il limite e non fuggirlo. La ginestra è ‘fedele a se stessa’, consapevole della sua mortalità e fragilità eppure ‘non si abbandona alla rinuncia, né teme di cambiare le cose, ma lotta e ama’.
Giacomo si fa emblema della condizione della ginestra quando, accettando le sue paure e le ferite della vita che lo portano ad un silenzio poetico di ben tre anni  (1824-27), esordisce con il grande idillio ‘A Silvia’ nel 1828, mettendo cuore, anima e corpo nei suoi versi e lasciando che la sua nostalgia si trasformi in un meraviglioso cantico.
Non so se si è capito, ma a questo autore va tutta la mia simpatia e ammirazione; e, tanto per rafforzare la mia opera di convincimento di voi lettori, vorrei mostrarvi quanto in realtà il nostro caro Giacomo fosse dotato di grande ironia e spirito di osservazione.
L’anno scorso, infatti, mi sono avventurata nella lettura dei ‘Pensieri’ di Leopardi, piccola raccolta poco conosciuta di riflessioni e meditazioni sul mondo dell’autore. Vi sorprenderò mostrandovi quanto ironico e moderno possa essere in realtà questo scrittore tanto biasimato per la sua indole ‘noiosa e depressa’.
Per esempio, osservando come per i vecchi il freddo sia molto meno sopportabile che in gioventù, afferma che essi ‘credono avvenuto alle cose il cangiamento che provano nello stato proprio’ e dichiara ironicamente che ‘L’Italia sarebbe più fredda oramai che la Groenlandia’ se la Terra fosse venuta continuamente raffreddata a quella proporzione che ribadiscono i nonni di generazione in generazione.
O per esempio, riguardo all’alto rischio di essere derubati presente anche nella Napoli dell’800′, egli scrive che in siffatti luoghi ‘l’uomo riputato senza danari, non è stimato appena uomo; creduto denaroso, è sempre in pericolo della vita’ da cui deriva che ‘ in sì fatti luoghi è necessario … pigliare per partito di rendere lo stato proprio in materia di danari un mistero; acciocchè il pubblico non sappia se ti dee disprezzare o ammazzare…’.
E poi insomma ragazzi, uno che annotò tra i suoi pensieri che ‘Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo’, poteva forse odiare la vita?
Non voglio annoiarvi ne’ con una riga in più ne’ con una in meno con notizie sul nostro caro poeta, perché spero vivamente che accettiate la sfida con voi stessi attraverso la lettura del libro D’Avenia o tentando il duello ancora più duro con Leopardi stesso: perché lui, cari miei lettori, non ha pietà e mette a nudo tutte le vostre fragilità e incertezze, mostrandovi tuttavia che ‘l’arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti’.
Il trucco sta tutto nel vedere la siepe come anticamera dell’infinito e non come ostacolo che ne preclude la vista!